di Marco Lo Conte
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Per vent’anni o giù di lì è scomparsa dalla vita quotidiana degli italiani, restando praticamente solo un esercizio teorico da libro di scuola. E invece l’inflazione resta un pericolo per i risparmiatori e un fattore di rischio per le economie, anche se in alcuni casi l’aumento del costo della vita è paradossalmente considerato benvenuto.
Ma l’inflazione è e resta il nemico occulto del nostro risparmio, un cecchino che dal suo nascondiglio colpisce il nostro portafoglio, spesso senza farsene accorgere, e negli anni è in grado di distruggere il valore del nostro denaro. Proprio perché se ne sottovaluta la portata. Ma andiamo con ordine. Perché tutti sanno che l’inflazione è un indicatore di quanto aumenta il costo della vita, ma spesso sfugge la dinamica di questo effetto e le conseguenze a medio e lungo termine.
Iniziamo con il dare un nome a ciò che l’inflazione provoca, la differenza tra il valore nominale e reale del denaro: il primo è ciò che viene indicato sulle banconote che abbiamo in tasca - 50 euro, ad esempio – il secondo è il valore dei beni che con quella banconota possiamo comprare. Quando l’inflazione viaggia al ritmo del 10% annuo, tra un anno con quella banconota potrò comprare beni per 45 euro. Il valore “nominale” non cambia, ma cambia, e di parecchio, il valore “reale”. Che è quello che conta. Distinguere le due cose non è un mero esercizio teorico ma serve a dare il giusto ruolo al mio denaro nel tempo: domani, tra un anno o tra dieci. Eh sì, perché con il tempo l’inflazione si muove componendo i tassi, non sommandoli. Il che accade quando si parla di attività (capitali più rendimenti) ma anche quando si parla di passività: un mutuo, per esempio, oppure l’incidenza appunto del costo della vita sul nostro potere d’acquisto. A conti fatti, un’inflazione del 5% annuo riduce il potere d’acquisto non del 50% ma di oltre il 62%, visto che come detto ogni anno l’inflazione si applica alla somma di denaro e tasso. Semplice matematica.
Se vogliamo cambiare materia e occuparci di storia, è appena il caso di sottolineare che l’inflazione in Italia è stata protagonista della vita economica e politica per lungo tempo. In particolare dagli anni 70, con la crisi energetica, fino all’ingresso del nostro paese nella moneta unica europea. L’Istat ci ricorda che nei trent’anni dal 1972 al 2002 la crescita dei prezzi è stata molto marcata: ciò che costava 100 lire all’inizio degli anni 70, trent’anni dopo costava mediamente l’equivalente di 1.170,7 lire. Ciò si spiega da una parte con la forte incidenza della crescita dei prezzi energetici, in particolare proprio negli anni 70, e dall’altra con il fenomeno dei rendimenti composti, analizzati poco fa. Se restringiamo lo sguardo al ventennio 1982-2002 verifichiamo come ciò che costava 100 lire, quattro lustri dopo costava mediamente poco meno di 174,6. Ed è il caso di sottolineare “mediamente”, considerando cioè i prezzi di beni come il pane, le automobili, i vestiti. Questo per sottolineare che non tutti i prezzi crescono con continuità: quelli degli smartphone si sono ridotti sensibilmente negli anni 90 prima di incamerare altre funzioni (in particolare dopo la nascita dell’iPhone).
Per questo, è corretto sottolineare che oltre all’inflazione media calcolata dagli istituti di statistica, ognuno ha la “sua personale” inflazione, fatta dal prodotto dei prezzi relativi ai consumi realizzati personalmente o familiarmente. Il che ci porta alla famosa citazione di Luigi Einaudi secondo il quale l’inflazione “è la più iniqua di tutte le tasse”, proprio perché colpisce soprattutto le classi sociali meno abbienti, per le quali i consumi basilari per la sopravvivenza – cibo, affitto, vestiti – incidono di più nel loro budget familiare rispetto a ciò che accade per le persone dai redditi più alti, su cui un rincaro dei costi incide complessivamente di meno. Tema che purtroppo è tornato di moda negli anni 20 di questo secolo, dopo anni di quantitative easing, dopo anni di immissione di liquidità nel mercato da parte delle banche centrali, una pandemia e l’avvio del conflitto in Ucraina, con un costo della vita schizzato in tutta Europa.
Ma come in ogni aspetto della vita, c’è un altro lato della medaglia, un lato nascosto dagli aspetti negativi che l’aumento dei prezzi crea nella vita individuale e collettiva, ma che è da considerare. L’inflazione incide sul valore nominale delle attività ma, come accennato, anche dei debiti: il valore reale di un mutuo stipulato per l’acquisto di una casa, o di un prestito, si riduce in termini reali a causa dell’incidenza dell’inflazione. E questo è un dato di carattere generale che solo in parte è controbilanciato dall’aumento dei tassi che la nostra banca applica al nostro contratto, a causa dell’aumento del costo del denaro che le banche centrali applicano a loro volta proprio per contrastare l’inflazione. Per questo si dice che l’inflazione è amica dei debitori, che siano i mutuatari o gli Stati, i quali per finanziare le proprie attività collocano obbligazioni sui mercati per centinaia di miliardi di euro l’anno.
Cosa conviene fare, dunque, quando l’inflazione rialza la testa? Sicuramente occorre tenere sotto controllo spese, budget e bilancio familiare: entrate e uscite. E considerare sempre di puntare a rivalutare i propri risparmi cercando di ottenere un rendimento comparabile e se possibile superiore a quello dell’inflazione, proteggendo i propri risparmi con strumenti finanziari adeguati alle necessità.
Marco lo Conte
Giornalista de Il Sole 24 Ore, responsabile del team di social media editor